Unità tra preghiera e vita
Tutti gli avvenimenti della vita possono arricchire la preghiera. A volte basta ammirare il creato per essere richiamati alla grandezza di Dio e di conseguenza sperimentare il desiderio di lodarlo e ringraziarlo.
Quando nella nostra mente affiora il ricordo di situazioni, incontri, grazie dimenticate o considerate solo superficialmente e non riconosciute tali, siamo facilitati a riconoscere la generosità e bellezza del nostro Creatore e a ringraziarlo per quello che ci ha donato, anche nel passato.
 
						È allora che il nostro spirito si raccoglie in
						preghiera e può guardare con sincerità in noi stessi, come ci vede Dio. 
						
						In questa visione unitaria della vita, l’onnipotenza
						del Padre, l’opera del Figlio e l’azione dello Spirito Santo, abbracciano il
						nostro spirito e congiungono il nostro tempo terreno nell’eternità di Dio.
						Nulla di ciò che compiamo, è del tutto inutile; anche se le nostre azioni
						fossero davvero negative, mai esse sarebbero completamente tali, tanto da
						escludere un riferimento a Dio e quindi, avere una valenza positiva.
						
						Il male assoluto non esiste, nemmeno il diavolo compie
						il male assoluto, altrimenti sarebbe divinizzato. Anch’egli “lavora” per la
						gloria di Dio e il Signore è capace di volgere il male al bene, non per i
						meriti del diavolo, ma per la misericordia e potenza di Dio.
						
						Così, anche la nostra preghiera, sebbene imperfetta
						ottiene sempre il risultato sperato, non per la nostra santità, ma per la misericordia
						e potenza di Dio. Solo Lui può perfezionare e abbellire le nostre azioni, integrando
						ciò che manca a esse.
						
						Noi possiamo donarci realmente a Gesù, solo se tutta
						la nostra vita diventa preghiera, com’è successo a Maria di Betania, che era
						tutt'uno con l’unguento che portava con sé, anzi lei era diventata il
						contenitore del profumo per cui con tutta se stessa, poté fare l’unzione a
						Gesù. 
						
						Impegniamoci
						allora, ogni
						giorno, a stare un po’ alla presenza del Signore, per dialogare con Lui e per lasciargli
						con fiducia ‘carta bianca’ della nostra vita.
 
						
						
						Il problema è che se noi ci autopromuoviamo per merito, capacità e valore, la nostra preghiera sarà opaca, perché Dio si arresta di fronte alla saccenza. Solo se ci riconosceremo piccoli, senza considerarci come la misura delle cose, riusciremo a restare in ascolto, per “sentire” nella preghiera che sgorga dal cuore, i bisogni della Chiesa e del nostro prossimo.
Avvertiremo così la presenza di Dio e, nel silenzio, lasceremo a Lui la parola, perché solo in esso Dio ha il sopravvento sul nostro chiacchiericcio di preghiere formulate unicamente con le labbra.
L’esercizio che ci può aiutare nel nostro cammino di contemplazione sta nel riesaminare, in modo consapevole, l’atteggiamento che assumiamo di fronte a Dio con un buon esame di coscienza, nella tranquillità della preghiera, per ridare importanza non a noi, ma a Lui.
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